Dazi USA: la guerra commerciale colpisce anche la Svizzera. Intervista da parte della RSI (Telegiornale a Presidente Marco Oliver Tepoorten)
Nella sede operativa della Franzosini, tra terminali accesi e tracciamenti in tempo reale, due container sono in viaggio verso gli Stati Uniti. Uno diretto al porto di New York, l’altro destinato a Houston. Le pratiche doganali sono già state inoltrate, ma un cambiamento improvviso rischia di far saltare tutto: l’introduzione di un dazio del 31% sulle merci svizzere da parte dell’amministrazione statunitense.
Una misura annunciata, ma dal sapore amaro per chi opera nella logistica quotidiana. Nessun preavviso operativo, nessun adeguamento progressivo. Solo una decisione unilaterale che rischia di far lievitare costi e incertezze, colpendo non solo i grandi esportatori, ma anche le tante PMI svizzere che affidano le loro spedizioni ai porti atlantici.
L’impatto è immediato
Alla Franzosini, società attiva da oltre un secolo, con 70 dipendenti e 35 milioni di franchi di fatturato, l’effetto è tangibile. Il traffico verso gli Stati Uniti non rappresenta la quota principale – circa 1,5 milioni l’anno – ma è strategico per clienti nei settori industriali, medicali, fashion. Oggi quei clienti chiamano, vogliono capire.
«Abbiamo container partiti mentre la normativa stava cambiando. Arriveranno in un’America diversa da quella da cui erano attesi», commenta Marco Oliver Tepoorten, presidente del gruppo. «È il tipo di situazione dove ogni ora conta, e dove non basta più sapere dove si trova la merce: bisogna sapere dove si colloca la politica commerciale internazionale».
Nessuna leva contrattuale
Il problema, però, è più profondo. La Svizzera non ha più strumenti per contrattare, non su questo terreno. Dal 1° gennaio 2024, infatti, ha eliminato quasi tutti i dazi sulle importazioni industriali. Una scelta che ha avuto senso interno – alleggerire i costi per le imprese – ma che oggi si rivela un boomerang in chiave diplomatica.
«Non abbiamo più dazi da togliere in cambio. Non abbiamo più nemmeno personale sufficiente formato in materia doganale», osserva Tepoorten. Lo dice con realismo, non con polemica. In un paese dove la digitalizzazione ha sostituito l’esperienza, e la formazione doganale è andata in secondo piano, il ritorno a regimi tariffari complessi trova il sistema svizzero impreparato.
Una guerra silenziosa
La sensazione, tra gli operatori, è che si stia aprendo un fronte nuovo. Dopo anni di commercio globalizzato, facilitato da accordi, procedure digitali e tracciabilità avanzata, si torna a parlare di dazi, di barriere, di sovranità economica. Di guerre commerciali.
«Quella dei dazi è solo una delle guerre del nostro tempo. Accanto a quella cyber, a quella geopolitica, a quella reale. Ma anche questa è una guerra. E bisogna capire come affrontarla», riflette Tepoorten.
Più spedizionieri, meno automatismi
L’imposizione unilaterale da parte degli Stati Uniti riporta sotto i riflettori un mestiere spesso ignorato: quello dello spedizioniere doganale. Una figura che negli ultimi anni ha dovuto reinventarsi tra software, riforme e algoritmi, ma che oggi torna a essere centrale. Perché quando cambia la normativa durante la traversata di un container, non è un algoritmo che spiega cosa succede. È qualcuno con esperienza, con visione, con contatti.
Alla Franzosini, questa figura c’è ancora. Ma fuori, nei valichi secondari, nelle imprese più piccole, comincia a mancare. L’Italia, con il suo sistema doganale stratificato ma ancora presidiato, osserva. L’Unione Europea prende tempo. La Svizzera, nel frattempo, rischia di pagare il conto di anni passati a smantellare le sue competenze doganali in nome della semplificazione.
Verso cosa stiamo andando?
L’effetto immediato sarà il rincaro delle esportazioni verso gli USA. Ma l’effetto a medio termine potrebbe essere più insidioso: perdita di competitività, perdita di controllo sulle filiere, perdita di credibilità.
Nell’epoca della logistica smart e delle promesse di semplificazione, la realtà torna a parlare il linguaggio del rischio. E come sempre, chi sa muoversi sul confine – non solo fisico, ma normativo – ha qualche carta in più da giocare.