Analisi pratica delle dichiarazioni del Vicedirettore del BAZG Marco Benz sulla revisione della legge doganale svizzera
Introduzione
Ho letto recentemente con interesse un articolo in cui il Vicedirettore del BAZG, Marco Benz, presenta la riforma doganale come una modernizzazione necessaria e vantaggiosa per l’economia svizzera. Le sue affermazioni delineano un quadro idilliaco di progresso e innovazione, che tuttavia non trova alcun riscontro nella realtà operativa quotidiana. Confrontando le sue dichiarazioni con i dati concreti sul campo e con le testimonianze dirette degli operatori del settore, emerge un quadro ben più articolato.
Per senso di responsabilità ho ritenuto necessario analizzare nel dettaglio le affermazioni di Benz e confrontarle con prove pratiche e verificabili. Il risultato è un documento che mette in luce gravi lacune sistemiche, capaci non solo di compromettere l’efficienza del sistema doganale, ma anche di minare alcuni principi fondamentali dello Stato di diritto.
1. Sul concetto di “alleggerimento amministrativo”
Dichiarazione di Benz: “La digitalizzazione in corso facilita lo sdoganamento delle merci alla frontiera svizzera. In un contesto economico globale incerto, questi alleggerimenti amministrativi aiutano l’economia.”
Analisi pratica: L’affermazione secondo cui la riforma comporterebbe un “alleggerimento amministrativo” per l’economia è categoricamente smentita da dati concreti. Le procedure doganali erano già digitali con il sistema precedente (E-dec) e tali restano. Tuttavia, la situazione nelle dogane è peggiorata in modo drammatico: il personale specializzato con decenni di esperienza è stato sostituito da operatori senza una formazione adeguata, incapaci di rispondere su temi fondamentali come le dichiarazioni temporanee, i regimi di riparazione o la classificazione tariffale secondo il sistema Tares. I documenti restano inspiegabilmente bloccati per ore e spesso siamo noi, gli spedizionieri, a dover spiegare il lavoro agli stessi doganieri. Una paradossale inversione di ruoli in cui i controllati istruiscono i controllori.
Il caso di Campocologno, attivo come progetto pilota DaziT dal 2022, fornisce dati ancora più allarmanti: i tempi di risposta sono passati da pochi minuti a 10–15 giorni, anche per semplici dichiarazioni mensili cumulative. In altri casi, come proroghe di autorizzazioni temporanee o richieste speciali, si parla di attese di 3, 8 o persino 12 mesi. Questi dati dimostrano che la digitalizzazione, ben lontana dall’avere effetti semplificatori, ha prodotto un sistema disfunzionale, che trasferisce in modo massiccio compiti, costi e responsabilità giuridiche alle imprese, senza alcuna contropartita. Al contrario, costringe gli operatori economici privati a colmare le lacune di un’amministrazione che ha perso le proprie competenze di base.
2. Sul metodo del controllo basato sul rischio
Dichiarazione di Benz: “Non si tratta di controllare il maggior numero possibile di merci, ma quelle giuste. Per questo la dogana svizzera opera secondo un approccio basato sul rischio.”
Analisi pratica: Un controllo efficace basato sul rischio presuppone un livello elevato di competenza specialistica — proprio quella che la riforma delle professioni doganali, introdotta con la digitalizzazione, ha sistematicamente smantellato. Anziché riconoscere che intelligenza artificiale e digitalizzazione sono strumenti di supporto e non sostituti del personale qualificato, si è imposta la fusione dei profili professionali specializzati nel controllo delle merci e delle persone (funzionari doganali e guardie di confine). Figure formate per funzioni fiscali complesse e con responsabilità miliardarie sono ora equiparate a profili formati per il controllo della sicurezza personale, con dinamiche completamente diverse. Il risultato: un’unica formazione standardizzata, di appena 4–10 settimane e priva di esame finale, che non può sostituire anni di formazione specialistica ed esperienza.
Questo processo ha di fatto emarginato il personale qualificato, costringendo molti esperti ad andare in pensione anticipata o ad abbandonare il BAZG. È significativo che nessun altro Paese europeo abbia tentato questa fusione di ruoli, riconoscendo l’impossibilità pratica di unificare competenze così diverse in un’unica figura. In questo contesto, parlare di controlli “basati sul rischio” diventa un semplice espediente retorico per mascherare l’incapacità del sistema di identificare e gestire rischi reali — proprio in un momento storico in cui l’espansione dell’e-commerce e le tensioni geopolitiche richiederebbero invece un rafforzamento delle competenze.
3. Sul presunto desiderio dell’economia
Dichiarazione di Benz: “Con il programma di trasformazione DaziT, il BAZG risponde al mandato della politica e al desiderio dell’economia…”
Analisi pratica: Attribuire la genesi di questa riforma a un presunto “desiderio dell’economia” è una distorsione della realtà, clamorosamente smentita da quanto accaduto il 6 marzo 2024. In quella data, il Consiglio nazionale ha approvato, nel quadro del dibattito sul progetto di legge BAZG-VG, la soppressione dell’obbligo di dichiarazione per le merci esenti da dazio. La reazione immediata, allarmata e unanime degli operatori economici e delle associazioni di categoria ha mostrato quanto quella “semplificazione” fosse in realtà percepita come un rischio grave: perdita totale della tracciabilità, aumento del rischio di traffici illeciti, vantaggi incontrollabili per la concorrenza sleale, e nuove complicazioni burocratiche. Solo l’intervento in extremis della Commissione dell’economia del Consiglio degli Stati (WAK-S) ha evitato quella che sarebbe stata una catastrofe operativa e di sicurezza. Il problema, con l’art. 15 del nuovo BAZG-VG, è solo parzialmente attenuato. È una visione miope credere che la rinuncia alla dichiarazione doganale abbia effetti positivi a lungo termine.
Le vere richieste dell’economia, espresse più volte negli anni, erano altre:
- una modernizzazione affidabile di E-dec,
- uniformità operativa tra i diversi valichi,
- conservazione e valorizzazione delle competenze professionali,
- tutela della certezza del diritto.
Quest’ultimo punto è particolarmente critico se si considera che la riforma prevede oltre 1.000 pagine di ordinanze operative scritte interamente dall’amministrazione, senza consultazione pubblica o supervisione parlamentare. Questo crea un’incertezza normativa massima: esattamente l’opposto di quanto l’economia richiede. Attribuire all’economia il desiderio di questa riforma — senza che ne conosca nemmeno i dettagli operativi fondamentali — è, sul piano logico e pratico, un atto intellettualmente disonesto.
4. Sulla presunta accelerazione dei processi
Dichiarazione di Benz: “Questo comporta un’accelerazione significativa dei processi alla frontiera.”
Analisi pratica: La promessa di un’“accelerazione significativa” dei processi doganali viene clamorosamente smentita da tutte le evidenze operative disponibili. Il caso del valico autostradale di Basilea-Weil — un punto nevralgico per il transito internazionale — è esemplare: il nuovo sistema di “attivazione in tempo reale” ha causato latenze informatiche talmente gravi da provocare code di veicoli alla frontiera, obbligando le autorità a spostare l’intera procedura di transito all’interno del Paese, per evitare un collasso totale del traffico. Si tratta, di fatto, di una regressione operativa mascherata da digitalizzazione. I dati provenienti da Campocologno offrono un quadro ancor più desolante. Procedure che prima richiedevano risposte immediate sono ora bloccate per mesi, mentre a Müstair si è raggiunto il culmine del paradosso: la dogana è stata di fatto abbandonata dal BAZG e le sue funzioni sono state delegate a operatori privati.
Anche in altri valichi doganali di riferimento — quelli con operatività più complessa — si registrano oggi tempi d’attesa di ore per chiarire questioni che, in passato, venivano risolte in pochi minuti. Oggettivamente, è evidente che il sistema precedente, basato su preannunci e su una gestione ordinata e prevedibile dei flussi di merci e di dati, funzionava meglio del nuovo sistema “in tempo reale”, che non tollera alcuna latenza né imperfezione, e che incide in modo diretto e negativo sul flusso commerciale e informatico. L’accelerazione tanto decantata resta, nei fatti, un miraggio. Tutti gli indicatori mostrano, al contrario, un drammatico peggioramento dei tempi.
5. Sulla problematica sistemica del meccanismo di “attivazione”
Dichiarazione di Benz: “…che le dichiarazioni doganali registrate digitalmente in anticipo diventano giuridicamente vincolanti solo al momento della cosiddetta attivazione.”
Analisi pratica: Il meccanismo di “attivazione” non rappresenta un’innovazione, bensì un pericoloso passo indietro dal punto di vista operativo, che introduce rigidità e imprevedibilità incompatibili con le esigenze della logistica moderna. Il sistema prevede che l’esito della dichiarazione — ovvero se è previsto un controllo fisico o una liberazione — venga comunicato solo al momento del passaggio fisico del veicolo. Ciò crea una situazione di totale incertezza e può paralizzare l’intero carico di un camion, generando costi e complicazioni significative per tutte le parti coinvolte. Un camion con venti spedizioni diverse può rimanere completamente bloccato al valico se anche solo una di queste viene selezionata per il controllo. E se la merce da controllare non viene trovata — per esempio perché è stata indicata erroneamente oppure non è affatto presente sul mezzo — il problema si aggrava. A seconda di dove avviene il controllo (in un centro di intervento o nell’area doganale interna), può essere impossibile scaricare la merce problematica o trasferire le altre spedizioni. Il veicolo resta quindi fermo, e in certi casi deve persino tornare indietro, il che comporta l’annullamento delle formalità doganali già effettuate nel Paese di partenza e genera un effetto domino che blocca anche gli altri mezzi in attesa.
Questo sistema è in totale contraddizione con gli standard dell’Unione Europea, dove il sistema ICS2 impone preannunci obbligatori e analisi del rischio preventive, consentendo così di identificare e risolvere eventuali problemi prima dell’arrivo fisico delle merci. La Svizzera, con il suo sistema di attivazione “last minute” e l’elaborazione in tempo reale senza alcuna tolleranza per imperfezioni o ritardi, si posiziona in una condizione di incompatibilità sistemica che la rende un partner commerciale inaffidabile e imprevedibile. L’assenza, nel nuovo sistema, di un equivalente alla “dichiarazione sommaria” (la presa in carico formale delle merci), che costituisce la base della tracciabilità e del controllo sia nel sistema attuale che in quello europeo, rappresenta una lacuna strutturale che non può essere colmata da slogan sulla digitalizzazione.
6. Sul concetto di “flessibilità” e il trasferimento di responsabilità
Dichiarazione di Benz: “Le aziende possono inserire e gestire i propri dati in autonomia […] questo aumenta la flessibilità…”
Analisi pratica: La presunta “flessibilità” offerta alle imprese nasconde in realtà un massiccio e unilaterale trasferimento di oneri, responsabilità e rischi dallo Stato al settore privato, senza alcuna contropartita in termini di servizi o supporto. Le aziende si ritrovano improvvisamente gravate da nuovi ruoli, come quello di “responsabile dei dati” o “responsabile delle merci” — figure giuridiche dai contorni vaghi, con potenziali responsabilità illimitate, inserite in un quadro normativo volutamente nebuloso. L’obbligo di onboarding digitale per ogni singolo importatore, la gestione autonoma degli archivi con relativi obblighi di conservazione documentale, l’assunzione di responsabilità fiscali dirette senza possedere le necessarie competenze doganali: tutto questo comporta costi e rischi aggiuntivi, che colpiscono in modo sproporzionato soprattutto le piccole e medie imprese.
Le PMI svizzere, che rappresentano l’ossatura dell’economia nazionale, si trovano strette tra l’obbligo di dotarsi di sistemi informatici costosi, la necessità di formare personale per gestire complessità normative in continua evoluzione e il rischio concreto di commettere errori con conseguenze anche penali. Nel frattempo, la riforma apre le porte a una subdola forma di “dumping doganale”: operatori domiciliati in Italia, Romania o Macedonia possono registrarsi come “responsabili dei dati” per gestire le importazioni verso la Svizzera, senza alcun obbligo di presenza fisica sul territorio elvetico. Si crea così una concorrenza sleale sistemica, dove le aziende svizzere devono sostenere tutti i costi di compliance, mentre quelle estere operano con standard totalmente differenti. La tanto sbandierata “flessibilità” si rivela dunque un eufemismo per mascherare la rinuncia, da parte dello Stato, a funzioni fondamentali di controllo e garanzia.
7. Sul metodo di revisione legislativa e i profili problematici dal punto di vista democratico
Dichiarazione di Benz: “Per poter realizzare questo ambizioso progetto, vengono rielaborate anche le basi legali…”
Analisi pratica: Il progetto DaziT, ovvero la digitalizzazione, era stato inizialmente indicato come motivazione principale per la revisione della legge doganale. Tuttavia, il progetto — o almeno il suo calendario — è già in larga parte superato. Molti elementi sono già stati implementati o sono in fase di completamento, incluso il sistema Passar, che costituisce la base per la gestione delle dichiarazioni nel traffico transfrontaliero. E tutto questo è stato possibile, come previsto da chi conosce il settore, anche sotto la vigente legge doganale. Di conseguenza, il motivo originariamente addotto per la revisione legislativa risulta smentito, e la revisione, per tale scopo, non è necessaria. Ma c’è di più: la metodologia applicata solleva interrogativi di rilevanza costituzionale, ben oltre le sole considerazioni tecniche. Al Parlamento viene chiesto di approvare una legge quadro estremamente generica, che delega la definizione di tutti gli aspetti operativi decisivi a oltre 1.000 pagine di ordinanze esecutive. Ordinanze che nessun parlamentare ha potuto esaminare, che non sono state sottoposte a consultazione pubblica e il cui contenuto rimane avvolto in una riservatezza incompatibile con i principi della trasparenza democratica.
Si chiede quindi ai rappresentanti del popolo di “firmare” qualcosa alla cieca, affidandosi completamente all’amministrazione — un vero e proprio assegno in bianco. In sostanza, si vota una legge senza conoscere — né potere conoscere — le sue implicazioni concrete. Questa procedura configura un massiccio e incostituzionale trasferimento del potere normativo dal potere legislativo a quello esecutivo, violando il principio fondamentale della separazione dei poteri. È risaputo che il disegno di legge è stato redatto dal BAZG sotto la guida di Marco Benz. Ed è ovvio che le disposizioni attuative, cioè le regole che determineranno concretamente come dovranno operare imprese e cittadini alla frontiera, vengano redatte dall’amministrazione. Tuttavia, in questo caso è l’intero pacchetto normativo — legge e ordinanze — a essere definito dalla stessa autorità che dovrà applicarlo, senza alcun controllo parlamentare effettivo su eventuali modifiche future. Ne deriva una situazione altamente pericolosa: l’Esecutivo ottiene di fatto il potere di elaborare norme che, fino a ieri, avevano rango di legge ed erano prerogativa del Parlamento. Con questa riforma si trasferisce al potere esecutivo il controllo su miliardi di franchi di entrate fiscali e sul funzionamento dell’intera economia nazionale. A questo punto è legittimo chiedersi come un parlamentare possa affermare di esercitare responsabilmente il proprio mandato se approva una legge di cui ignora completamente l’attuazione concreta.
8. Sulla stima dei risparmi per l’economia
Dichiarazione di Benz: “I risparmi annuali per l’economia sono stimati a 125 milioni di franchi.”
Analisi pratica: Alla luce degli svantaggi e degli oneri supplementari già descritti e comprovati, questa affermazione appare semplicemente grottesca. La cifra di 125 milioni di franchi all’anno, indicata come presunto risparmio per l’economia, sembra una stima lanciata senza alcuna spiegazione trasparente o base analitica verificabile. Essa contrasta nettamente con i costi concreti, già oggi sostenuti dagli operatori economici, e destinati ad aumentare in modo esponenziale con l’entrata in vigore della riforma.
Le imprese dovranno affrontare, non solo una tantum, costi elevati per l’adeguamento obbligatorio dei sistemi informatici, ma anche sostenere nel tempo spese permanenti: formazione continua del personale per gestire responsabilità nuove e improvvise, consulenze legali per interpretare ordinanze volutamente oscure, oltre al rischio economico operativo legato a blocchi merci, penali contrattuali e malfunzionamenti informatici. Il tutto, aggravato dall’aumento del rischio derivante da mittenti o destinatari non formati che, pur avendo acquisito maggiori ruoli e responsabilità, non sono in grado di concludere correttamente le pratiche doganali.
Parallelamente, l’amministrazione tace completamente sulle perdite per il settore pubblico: sono stati comunicati solo dati minimi sull’impatto della soppressione dei dazi industriali nel 2024 e manca del tutto una valutazione seria del rischio finanziario derivante dall’eliminazione delle garanzie offerte dal sistema ZAZ, che espone lo Stato a potenziali insolvenze miliardarie in fase di riscossione dell’imposta d’importazione.
A ciò si aggiungono i costi nascosti legati alla militarizzazione del personale doganale unificato: una decisione ideologica, priva di giustificazioni operative, che assorbe risorse senza portare alcun beneficio alla funzione fiscale o di controllo merci.
Resta quindi inevasa la domanda fondamentale: Se questo sistema genera davvero risparmi così miracolosi, perché i tempi di sdoganamento sono esplosi, perché il personale qualificato sta lasciando in massa l’amministrazione, e dove sono — nero su bianco — i calcoli dettagliati e verificabili di questi presunti benefici economici?
9. Sulla parità di condizioni e il rischio di dumping doganale
Dichiarazione di Benz: “…garantiscono una corretta imposizione e quindi condizioni di concorrenza eque per tutti gli operatori economici.”
Analisi pratica: L’affermazione secondo cui la riforma garantirebbe “condizioni di concorrenza eque” rappresenta una totale distorsione della realtà. Al contrario, la riforma crea le premesse per una concorrenza sleale strutturale e sistemica, tutta a danno delle imprese svizzere. Il meccanismo è semplice quanto devastante: operatori domiciliati in Italia, Romania, Macedonia o qualsiasi altro Stato possono registrarsi online come “responsabili dei dati” nel sistema svizzero, senza obbligo di presenza fisica sul territorio nazionale, senza essere soggetti agli stessi obblighi normativi, fiscali e salariali delle imprese svizzere. Possono così gestire comodamente dal proprio Paese d’origine oltre il 70% del traffico commerciale rappresentato dalle importazioni. L’analogia con il dibattito sul cabotaggio stradale è illuminante: se venisse abrogato il divieto di trasporti interni per veicoli stranieri, inizialmente potrebbe sembrare una misura utile per contenere i costi di trasporto, ma il risultato finale sarebbe la distruzione completa del settore svizzero dei trasporti. Si innescherebbe una spirale al ribasso nei salari, negli standard di sicurezza e nelle condizioni di lavoro, con danni enormi per l’intera economia.
La riforma doganale apre esattamente la stessa porta nel settore della logistica e dei servizi doganali: facilita l’ingresso massiccio di operatori esteri in un sistema deliberatamente indebolito nei controlli e crea le condizioni per un dumping sistematico, che non ha nulla a che vedere con l’efficienza di mercato, ma rappresenta una distorsione competitiva deliberata. Le imprese svizzere si trovano così a competere con le mani legate contro concorrenti che operano con regole completamente diverse — una corsa dove il vincitore è già designato e il perdente è l’intero tessuto economico nazionale. E naturalmente non è prevista alcuna reciprocità: è del tutto evidente che le imprese svizzere non potrebbero operare in modo equivalente né in Italia né nell’Unione Europea.
10. Sulla presunta cooperazione con i partner internazionali
Dichiarazione di Benz: “…il BAZG è in stretto contatto con i partner esteri per portare avanti congiuntamente gli sforzi di digitalizzazione.”
Analisi pratica: Il presunto “stretto contatto” e coordinamento con i partner internazionali si rivela, nei fatti, una finzione diplomatica che nasconde una realtà di crescente isolamento e incompatibilità sistemica. L’Unione Europea ha implementato il sistema ICS2, che prevede dichiarazioni preventive obbligatorie per tutte le merci in arrivo, con un’analisi dei rischi basata su dati completi forniti prima dell’arrivo fisico della merce. La Svizzera, invece, percorre la direzione diametralmente opposta con il proprio sistema di “attivazione last minute”, che elabora tutto in tempo reale, senza alcuna tolleranza per latenze, errori o imperfezioni — e soprattutto senza l’elemento essenziale della “dichiarazione sommaria preventiva”, cioè la presa in carico formale delle merci, che costituisce la base di qualsiasi controllo moderno.
Le conseguenze di questa divergenza sono facilmente prevedibili e potenzialmente disastrose per la posizione della Svizzera come hub logistico europeo:
- incremento sistematico dei controlli da parte dell’UE su merci provenienti dalla Svizzera, vista sempre più come anello debole della catena di sicurezza;
- perdita progressiva dello status di partner commerciale affidabile;
- rallentamenti nei flussi logistici che renderanno sempre meno vantaggioso il transito attraverso la Svizzera;
- esclusione di fatto dal tessuto logistico ed economico integrato europeo, anche per gli esportatori.
Il paradosso raggiunge l’apice nel contesto geopolitico attuale: mentre a livello globale si rafforzano i controlli basati sui dati per renderli più efficaci ed efficienti — gli Stati Uniti con i nuovi dazi e le restrizioni annunciate da Trump, l’UE con l’ulteriore rafforzamento dell’ICS2, il Regno Unito con controlli doganali più rigidi post-Brexit — la Svizzera sceglie la smobilitazione del proprio sistema di controllo, rinunciando all’utilizzo strutturato dei dati (vedi art. 15 del progetto di legge). Questa non è “cooperazione”. È una forma di isolamento pericoloso, travestita da modernizzazione.
11. Sull’intenzione di non “annacquare” i controlli
Dichiarazione di Benz: “D’altra parte, i controlli alle frontiere svizzere non devono essere annacquati.”
Analisi pratica: L’affermazione secondo cui i controlli non dovrebbero essere “annacquati” suona come un’amara ironia, considerando che l’indebolimento sistemico e multidimensionale del sistema di controllo è già una realtà operativa su tutti i livelli.
A livello finanziario, l’abolizione delle garanzie preventive, come le cauzioni e i conti ZAZ, espone il bilancio federale a rischi potenzialmente miliardari. Un sistema collaudato per la protezione delle entrate fiscali viene sostituito da un concetto nebuloso di “fiducia”, privo di veri meccanismi di verifica. (Viene da chiedersi se un simile approccio sarebbe accettabile da parte dell’organo di controllo dei conti federali – EFK).
A livello operativo, la perdita sistematica di competenze è già realtà: il personale esperto è stato emarginato e sostituito da figure generiche, insufficientemente formate, compromettendo gravemente la capacità di identificare e gestire situazioni complesse o potenzialmente rischiose.
A livello di sovranità statale, il ritiro della presenza fisica dello Stato ai valichi — emblematicamente rappresentato dal caso di Müstair, dove l’amministrazione ha rinunciato completamente alle proprie funzioni, delegandole a operatori privati — configura una rinuncia de facto all’esercizio di prerogative fondamentali dello Stato moderno. I controlli vengono così effettuati solo in forma documentale e retroattiva, cioè quando il potenziale danno si è già verificato.
A livello costituzionale e democratico, la sottrazione del Parlamento da decisioni operative fondamentali — attraverso la delega in bianco all’esecutivo — rappresenta una grave violazione del principio della separazione dei poteri e del controllo democratico sull’azione amministrativa.
Non si tratta, dunque, semplicemente di un “annacquamento” dei controlli. Ci troviamo di fronte a un processo di smantellamento progressivo di ogni forma di controllo effettivo, mascherato da retorica modernizzatrice, ma che mira sostanzialmente alla rimozione sistematica delle tutele fondamentali per la sicurezza fiscale ed economica del Paese.
12. Sulla digitalizzazione come fine e non come mezzo
Dichiarazione di Benz: “Proprio in tempi di crisi, la digitalizzazione è un imperativo!”
Analisi pratica: L’invocazione della digitalizzazione come imperativo categorico, “proprio nei tempi di crisi”, rivela una confusione di fondo tra mezzi e fini che attraversa tutta la riforma. La digitalizzazione dovrebbe essere uno strumento per migliorare l’efficienza e l’efficacia dei controlli doganali — non un pretesto per smantellare competenze costruite in decenni e per trasferire costi e responsabilità al settore privato. Una vera digitalizzazione creerebbe sistemi informatici affidabili, e non una piattaforma disastrosa come Passar, affetta da problemi cronici di funzionamento. Richiederebbe personale adeguatamente formato per utilizzare questi strumenti, non figure generiche prive delle competenze necessarie. Cercherebbe la compatibilità con i sistemi dei partner commerciali internazionali, non l’isolamento tecnologico autoimposto dalla Svizzera. E, soprattutto, preserverebbe e valorizzerebbe le competenze umane fondamentali — che nessun algoritmo può sostituire nel valutare situazioni complesse o anomale.
Invece, questa pseudo-digitalizzazione viene utilizzata come una cortina fumogena per mascherare operazioni di tutt’altra natura:
- la riduzione massiccia del personale qualificato, presentata come “efficienza”;
- il trasferimento dei costi operativi alle imprese, venduto come “flessibilità”;
- la ritirata dello Stato dalla frontiera, travestita da “modernizzazione”;
- la creazione di incompatibilità sistemiche con i partner commerciali, spacciata per “innovazione”.
Il progetto DaziT, con un budget vicino al mezzo miliardo di franchi, è già stato definito da numerosi esperti del settore come un “naufragio annunciato” — proprio perché è stato gestito senza le competenze necessarie, forzatamente implementato e avviato senza attendere una base legale adeguata. In un contesto di crisi geopolitica ed economica, con tensioni commerciali crescenti, nuovi dazi all’orizzonte e rischi per la sicurezza in aumento, servirebbero controlli più efficaci e intelligenti — non sistemi che li indeboliscono strutturalmente.
Mentre il mondo si protegge:
- Trump introduce nuovi dazi,
- il Regno Unito rafforza i controlli doganali post-Brexit,
- l’UE stringe ulteriormente le maglie dell’ICS2,
la Svizzera sceglie un disarmo doganale unilaterale — ma senza voler rinunciare alla propria sovranità. Una contraddizione che lascia aperta una domanda: quanto potrà durare in un mondo sempre più dinamico, connesso e competitivo?
Conclusioni
Le dichiarazioni del Vicedirettore Benz tracciano un quadro illusorio e idilliaco di modernizzazione e progresso. Un quadro che, pur potendo apparire plausibile nell’immediato, non trova alcuna corrispondenza sostenibile nella realtà operativa quotidiana.
I dati concreti raccolti presso i valichi, le testimonianze unanimi degli operatori del settore, e l’analisi sistemica delle implicazioni normative ed economiche convergono tutti verso una rappresentazione ben diversa della riforma:
- una riforma che non semplifica, ma complica e moltiplica gli oneri;
- che non accelera, ma rallenta drammaticamente i processi;
- che non modernizza, ma distrugge competenze costruite in decenni;
- che non coordina, ma isola la Svizzera dal contesto europeo e internazionale;
- che non fa risparmiare, ma espone Stato e imprese a rischi economici di dimensioni potenzialmente catastrofiche;
- che non rafforza il controllo, ma lo indebolisce sistematicamente a ogni livello.
Il Parlamento svizzero si trova ora davanti a una responsabilità storica: quella di fermare questa deriva prima che i danni diventino irreversibili. Una vera modernizzazione del sistema doganale richiederebbe investimenti mirati in competenze umane e tecnologie affidabili — non la loro distruzione, camuffata da “progresso digitale”.
La Svizzera ha costruito in decenni un sistema doganale efficiente, rispettato a livello internazionale. Demolirlo sull’altare di una modernizzazione mal compresa, significherebbe commettere un errore con conseguenze incalcolabili per la sovranità economica e la competitività della piazza svizzera — e, con essa, per il benessere dei suoi cittadini.
Intervista originale del Vice Dir. UDSC Marco Benz
https://dievolkswirtschaft.ch/de/2025/06/digitalisierte-zollabfertigung-entlastung-in-krisenzeiten/