Il ruolo e il potere delle associazioni di categoria e dei loro organi direttivi, in particolare nel contesto dell’abolizione delle dichiarazioni doganali per le merci esenti da dazio: quando 50 spedizionieri finanziano il proprio boia.
Premessa
Fino a qualche decennio fa, le aziende si identificavano con un’unica associazione di categoria, una scelta che rifletteva chiaramente il loro settore di appartenenza e ne rappresentava gli interessi in modo univoco. Tuttavia, nell’era moderna, la tendenza è cambiata drasticamente. Essere attivi come soci in diverse associazioni di categoria è ormai considerato un modo efficace per migliorare l’immagine aziendale e ampliare le proprie reti di relazioni d’affari. Questo approccio polivalente, sebbene possa sembrare vantaggioso in termini di opportunità di business, comporta rischi significativi.
L’appartenenza a diverse associazioni di categoria può infatti portare a una perdita di identità aziendale. Inoltre, le associazioni di categoria hanno spesso scopi, idee e agende politiche diverse, influenzate dai vari settori che rappresentano. Questa divergenza può creare conflitti di interesse che, anziché favorire, possono addirittura danneggiare l’azienda.
Il vero pericolo, però, risiede nella crescente forza decisionale degli organi direttivi delle associazioni. Nell’era moderna, questi comitati hanno un’influenza sempre maggiore, spesso operando senza un’adeguata trasparenza. Le decisioni vengono prese a porte chiuse, e i soci raramente sono informati delle trattative in corso o delle iniziative che potrebbero avere un impatto diretto sulle loro attività. Questa mancanza di comunicazione e trasparenza può portare a situazioni in cui le aziende finanziano involontariamente politiche che non solo non le rappresentano, ma che possono addirittura risultare dannose per i loro interessi.
Il ruolo Swiss Shippers Council (SSC)
Un esempio emblematico di questa problematica è rappresentato dal Swiss Shippers’ Council (SSC), un’associazione che, in molti aspetti, risulta essere un duplicato della Swiss Export, specifica per le aziende esportatrici. Il SSC conta circa 200 soci, tra cui figurano oltre 50 spedizionieri (fonte sito web)
https://swiss-shippers.ch/it/diventare-membri/lista-dei-membri
Ma com’è possibile che ci siano 50 spedizionieri in un’associazione destinata alle aziende esportatrici? Il SSC rappresenta una vasta gamma di interessi, inclusi quelli di numerosi spedizionieri, molti dei quali sono anche membri di Spedlogswiss. Tuttavia, emerge una significativa discrepanza tra le decisioni prese dalla dirigenza del SSC e le reali esigenze e opinioni dei suoi soci spedizionieri. Questo divario solleva importanti questioni sulla rappresentatività e l’efficacia dell’organizzazione nel difendere gli interessi di tutti i suoi membri.
In effetti, è piuttosto ironico che un’organizzazione come il SSC, che dovrebbe rappresentare le aziende esportatrici, includa spedizionieri tra i suoi membri. Questo scenario potrebbe sembrare una tattica delle aziende stesse per migliorare la propria immagine associandosi a più enti possibile, senza considerare che, in casi come questo, si rischia di finanziare il proprio boia.
Un’associazione che rappresenta anche più di 50 soci spedizionieri e che, inaspettatamente, promuove politiche potenzialmente dannose per gli stessi spedizionieri, appare alquanto paradossale.
Ma perché la SSC sarebbe un’associazione che non rappresenta i soci spedizionieri?
Andiamo con ordine, e facciamo una piccola introduzione per capire meglio.
Recentemente, il Consiglio Nazionale ha preso una decisione che ha suscitato un acceso dibattito e molteplici preoccupazioni: l’abolizione delle dichiarazioni doganali per le merci esenti da dazio. Attualmente in fase di approvazione definitiva da parte del Consiglio degli Stati, questa proposta è stata accolta con scetticismo e allarmismo da parte dei professionisti del settore dei trasporti e della logistica, ma anche dagli addetti della dogana stessa. Infatti tale cambiamento potrebbe avere ripercussioni significative sull’efficienza operativa e sulla trasparenza del commercio internazionale.
L’abolizione delle dichiarazioni doganali rappresenta un cambiamento radicale nella gestione delle importazioni e delle esportazioni. Tradizionalmente, queste dichiarazioni sono state uno strumento cruciale per garantire la corretta imposizione dei dazi e il rispetto delle normative commerciali. Senza di esse, c’è il rischio di un aumento dei casi di evasione fiscale e traffico illecito di merci, complicando ulteriormente il lavoro degli spedizionieri e delle autorità doganali.
La proposta è stata presentata come una misura per semplificare le procedure burocratiche e ridurre i costi per le aziende, ma i benefici dichiarati non superano i potenziali svantaggi. Anzi, con la nuova legge doganale, si profilano vantaggi illusori e molti costi nascosti.
Le implicazioni di questa decisione vanno ben oltre la semplice riduzione della burocrazia. L’abolizione delle dichiarazioni doganali potrebbe danneggiare in modo significativo le piccole, medie e grandi aziende del settore, mettendo a rischio numerosi posti di lavoro. Gli spedizionieri, in particolare, vedrebbero sottratta una delle loro attività principali, una funzione essenziale non solo per le loro operazioni ma anche per l’economia e la sicurezza del paese. Senza un controllo adeguato sulle merci in entrata e in uscita, l’intero sistema commerciale rischia di diventare più vulnerabile alle frodi e alle attività illegali.
Ma come si è arrivati a una decisione così controversa?
La risposta risiede nelle iniziative di alcuni membri influenti, tra cui Fabio Regazzi, consigliere nazionale, e Philipp Muster, direttore del Swiss Shippers Council (SSC). Durante il suo mandato, Fabio Regazzi ha proposto la modifica dell’articolo 13 in commissione, una mossa percepita come frutto di una pressione lobbistica intensa e ben orchestrata, che ha suscitato notevoli polemiche.
Il Swiss Shippers Council (SSC) è il principale artefice di questa pressione lobbistica. Con la sua vasta rete di influenze e la capacità di mobilitare risorse significative, sembra aver guidato questi cambiamenti normativi, sollevando preoccupazioni riguardo alla trasparenza del processo decisionale e alla rappresentatività delle decisioni prese a livello politico. Le modalità con cui il SSC ha esercitato la sua influenza evidenziano il potere delle lobby nel modellare le politiche pubbliche.
Attraverso un’attenta strategia di lobbying, il SSC ha spinto per modifiche legislative che potrebbero non rispecchiare gli interessi più ampi del settore, apparentemente concentrandosi su obiettivi che non rappresentano adeguatamente le necessità di tutti i suoi membri, inclusi molti spedizionieri.
Philipp Muster, direttore del SSC, ha sottolineato che la nuova proposta prevede la possibilità di fare dichiarazioni cumulative, ad esempio una volta al mese o ogni tre mesi, riducendo così il carico amministrativo per le aziende. Muster ha anche enfatizzato i potenziali benefici economici di questa riforma: “Una piccola PMI che importa circa 20 spedizioni al mese attualmente deve pagare per ogni dichiarazione doganale, che può costare 50 franchi ciascuna, per un totale di 1000 franchi al mese. Con una dichiarazione mensile cumulativa, pagherebbe solo 50 franchi al mese, risparmiando 950 franchi”.
È difficile, se non impossibile, immaginare che i soci spedizionieri del SSC abbiano realmente sostenuto queste posizioni o siano stati adeguatamente informati delle iniziative che il SSC sta promuovendo. Questo solleva seri interrogativi sulla trasparenza e sul processo decisionale all’interno del SSC. È possibile che un comitato direttivo autonomo stia prendendo decisioni senza un adeguato consenso tra i soci. La mancanza di trasparenza in queste operazioni può portare a decisioni che non rispecchiano gli interessi di tutti i membri, creando un paradosso in cui le aziende si trovano a finanziare politiche potenzialmente dannose per le loro stesse attività.
Com’è possibile che un’associazione a cui sono affiliati 50 spedizionieri proponga l’abrogazione dell’obbligo della dichiarazione doganale? Sarebbe come se un’associazione di fiduciari promuovesse l’abolizione della contabilità obbligatoria, danneggiando direttamente i propri membri.
Questa situazione è particolarmente preoccupante perché le decisioni prese dal SSC potrebbero avere un impatto significativo sull’intero settore della logistica. Se le politiche non sono allineate con le esigenze e le opinioni dei soci spedizionieri, il risultato potrebbe essere deleterio sia per le singole aziende che per l’intero comparto. La trasparenza e il coinvolgimento attivo dei soci nelle decisioni strategiche sono fondamentali per assicurare che le iniziative dell’associazione siano veramente rappresentative e benefiche per tutti i membri.
Inoltre, la complessità della revisione della legge doganale è stata evidenziata da molti consiglieri nazionali, che hanno dichiarato di avere grosse difficoltà a leggerlo e capirlo, anche dopo anni. Ed è in questi casi che le decisioni vengono prese senza razionalità ma seguendo le indicazioni suggerite da esperti, o nel caso specifico, pseudo esperti. Interessante è stato l’intervento di Jacqueline Badran, che ha sottolineato il rischio nell’eliminazione delle dichiarazioni doganali, pur non ricordando chi avesse proposto tale modifica. È utile ricordare che i promotori di questa iniziativa sono stati Philipp Muster e Fabio Regazzi.
Finanziare il proprio boia è più di una semplice espressione; è una cruda realtà che descrive perfettamente la situazione attuale e che avrebbe valenza anche per quelle aziende che, all’interno del proprio Consiglio di amministrazione, hanno consiglieri nazionali che, anziché difendere gli interessi delle aziende che rappresentano, fanno l’esatto contrario. Un esempio è il caso di Beat Wälti, membro del CDA di DSV, che non solo sostiene l’abolizione delle dichiarazioni doganali, ma esprime pure il parere che la perdita di lavoro per gli spedizionieri non sia un problema del Consiglio nazionale.
In conclusione, la decisione del Consiglio Nazionale di abolire le dichiarazioni doganali rappresenta un esempio emblematico di come la pressione lobbistica possa influenzare la politica, spesso a scapito degli interessi collettivi e della trasparenza. La SSC, nella sua apparente incoerenza, ha dimostrato almeno una notevole capacità di esercitare una pressione efficace, degna di riconoscimento. Tuttavia, questo successo non compensa il fatto che tale pressione ha portato a decisioni che minano gli interessi dei propri membri, creando seri problemi per le aziende associate, che si troveranno a dover affrontare maggiori costi e difficoltà burocratiche.