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Riccardo Braglia

Riccardo Braglia

Biografia | Riccardo Braglia

Riccardo Braglia è nato a Milano nel 1960 ed è nazionalità Svizzera- Italiana; coniugato dal 1992, padre di due figli e residente a Lugano.  Si è laureato in Economica e Commercio presso l’Università Luigi Bocconi di Milano, con indirizzo economia aziendale e specializzazione in economia delle aziende industriali.

È Amministratore Delegato e Vice Presidente del Gruppo Helsinn e della Helsinn Holding SA; presso la Helsinn Healthcare SA ricopre il ruolo di membro del Consiglio di Amministrazione e del Comitato Esecutivo per la gestione strategica delle attività del Gruppo Helsinn.

E’ Presidente e Membro del Consiglio di Amministrazione della Helsinn Advanced Synthesis SA ed è membro del Consiglio di Amministrazione della Helsinn Birex Pharmaceuticals Ltd, Irlanda.

E’ Presidente e Membro del Consiglio di Amministrazione della Helsinn Therapeutics (U.S.), Inc., USA; Amministratore Delegato per la Helsinn International Services Sarl., Monte Carlo e Presidente della Helsinn Investment Fund SA, Lussemburgo.

Ricopre altri svariati ruoli di responsabilità presso altre aziende del settore in Svizzera e nel mondo oltre a essere membro del Consiglio di Amministrazione della Camera di Commercio svizzero americana.

E’ stato co-fondatore della Fondazione Nuovo Fiore in Africa – Svizzera – e membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Gabriele e Anna Braglia – Svizzera. Infine è Presidente Onorario del Lugano Tigers Basketball Team – Svizzera.

Premi ricevuti: 
CEO Cancer Round Table Gold Standard 2014;
Ernst & Young Swiss Entrepreneur of the Year 2012;
Ernst & Young Best Entrepreneur of the Year 2011 in Ticino.

L’INTERVISTA

RICCARDO BRAGLIA

 

Intervista del Direttore Marco Tepoorten all’imprenditore Riccardo Braglia, Vice Presidente e CEO del gruppo Helsinn

 

La Helsinn è una delle più importanti aziende farmaceutiche ticinesi. Come vi posizionate nel vostro mercato e quali sono le vostre peculiarità?

La Helsinn è un’azienda di famiglia con delle radicate tradizioni e dei valori che derivano da tre generazioni di conduzione familiare: prima mio nonno in Italia, in seguito mio padre che decise di iniziare con una start-up 40 anni fa in Ticino ed ora io, che rappresento la terza generazione… con la speranza che poi ci sia anche una “quarta generazione” dei miei figli, che sono attualmente in formazione all’università in Inghilterra. Nell’ambito del farmaceutico, in Ticino, ci sono oltre 27 aziende; noi siamo una piccola realtà economica, ma comunque importante sia in termini di occupazione, che fatturato oltre che per il pagamento delle imposte. Nell’ambito della realtà ticinese siamo sicuramente tra le prime tre aziende ed a livello nazionale rappresentiamo una realtà importante, soprattutto per quanto concerne l’esportazione in mercati internazionali. La nostra peculiarità è quella di esportare il 98% della nostra produzione e anche quel 2% che non esportiamo direttamente va comunque a società straniere che hanno una sede in Svizzera e che poi riesportano a loro volta. Siamo fortemente presenti negli USA – abbiamo una sede nel New Jersey – che rappresentano più del 60% del nostro fatturato. L’altra peculiarità è che abbiamo investito in una nicchia particolare del settore dell’oncologia, quella del Cancer Supportive Care: questa riguarda il trattamento e la gestione di tutti gli effetti secondari che il tumore o che la chemioterapia  creano.

 

Complimenti per la vostra attività. Domanda secca: crede che si troverà prima o poi la cura contro il cancro?

Prima bisogna capire bene che origine ha il cancro e quali sono le motivazioni per cui si forma. Oggi, nonostante la malattia, si vive più a lungo: a parte qualche caso specifico, in generale si riesce a vivere comunque di più ed in alcuni tumori c’è una remissione. E’ importante ribadire che una diagnosi precoce è fondamentale e poi bisogna fare attenzione a tutti i fattori che influiscono al proliferare di questa malattia: i “tecnici” sostengono che il nostro organismo è stato creato per sopravvivere 150 anni, noi lo roviniamo con lo stress, il fumo, il mangiare ed il bere troppo…

 

Per quali ragioni ci sono sempre più aziende farmaceutiche, anche di piccole dimensioni, in Ticino?

Il Ticino rappresenta oggi ed ha sempre rappresentato un punto strategico sull’asse nord-sud: è la porta d’ingresso a sud della Svizzera ed offre una serie di vantaggi per le aziende farmaceutiche che vi si stabiliscono, tra cui, la possibilità di registrare i farmaci come “Swiss medic”, quindi con la qualità e la tradizione svizzera nel settore farmaceutico, anche se magari non sono registrati in Europa. Esistono certamente alcune problematiche legate al traffico ed alla logistica, nonostante ciò il Ticino rimane il luogo ideale per lo sviluppo del settore farmaceutico.  Trattandosi  di un’attività non troppo “labour intensive” non necessita di grandi strutture di produzione; ha un grande valore aggiunto, tale da poter reggere gli stipendi alti svizzeri, ed è basato sulla tecnologia già fortemente presente in Ticino ed in tutta la Svizzera.

 

Recentemente avete festeggiato il giubileo dei 40 anni di attività. La nostra azienda si è fregiata di aver trasportato la struttura raffigurante il logo aziendale, dal fabbricante sino alla filiale di Dublino, transitando per Lugano alla vostra festa. Una scelta che ci ha molto onorato; qual è stato il fattore che vi ha portato ad affidarci l’incarico?

Franzosini rappresenta una scelta di qualità nell’ambito delle spedizioni e del trasporto. Era un evento cui tenevamo particolarmente: il logo è stato realizzato in maniera particolare, con dei materiali pregiati, fatto su misura da un’azienda specializzata in queste produzioni e dovevamo essere sicuri che arrivasse a destinazione integro e nel rispetto dei tempi della ricorrenza. E’ stata una scelta di sicurezza, qualità e e tempistica.

 

La figura dello spedizioniere/trasportatore sta diventando sempre più importante nei traffici internazionali, delineandosi ormai come “partner” aziendale e non solo come semplice fornitore. Quali sono le caratteristiche che inducono una grande azienda a identificare e scegliere questo partner?

Oggi le aziende ricercano sempre più la qualità del servizio sia in termini di rispetto delle tempistiche, che per la qualità e la varietà del servizio stesso. Il ruolo dello spedizioniere/trasportatore, nell’ambito della logistica “allargata” del futuro sarà sempre più importante: le industrie dovranno avere sempre meno magazzini propri, se non lo stretto indispensabile, ed affidarsi ad una distribuzione esterna che offra loro dei servizi completi a 360 gradi e questo è ancora più complesso per i farmaci. Inoltre, i magazzini di piccole dimensioni, come ad esempio i nostri, sono difficilmente automatizzabili, mentre i vostri centri logistici sono totalmente “robotizzabili” e quindi offrono la possibilità di un notevole risparmio di costi.

 

Cambiando tema, la filantropia è presente nel DNA della vostra famiglia. In Helsinn questo impegno si concretizza con il sostegno ad una Fondazione che promuove e sostiene l’insegnamento di base in Africa. Può spiegarci meglio il vostro impegno?

La filosofia di Helsinn è di fare della filantropia sotto vari aspetti e non solo in Africa, paese in cui abbiamo costituito la Fondazione Nuovo Fiore in Africa, sulla base di un’esperienza personale mia e di mia moglie, per sostenere una scuola in Etiopia. Cinque anni fa abbiamo costituito la nostra Fondazione insieme ad alcuni amici, che ad oggi è attiva in diversi Paesi: non solo in Etiopia, ma anche in Congo, nel Sud Sudan e nel Ghana, dove abbiamo realizzato diverse scuole elementari, medie e superiori per i ragazzi che altrimenti non avrebbero avuto la possibilità di andare a scuola. L’idea è quella di portare in Africa la “formazione” che è quello che serve per far evolvere quel continente: si può portare cibo, vestiti, farmaci e tante altre cose, ma se la popolazione locale non si rende conto che deve cambiare il suo modo di vivere e certe tradizioni che tendono a limitarla, non si potrà avere un’evoluzione dell’Africa in futuro.  Questo processo l’abbiamo attraversato anche noi in Europa dal 1500 ad oggi. Far evolvere l’Africa nel suo territorio è il concetto base della nostra Fondazione: questi popoli stanno meglio a casa loro, non amano emigrare in Europa, ma sono costretti a farlo per le condizioni in cui vivono…

 

Lei si reca spesso in Africa e “sulla carta” sono luoghi rischiosi. Come affronta i suoi viaggi?

Vado in Africa almeno tre volte all’anno e posso assicurare che se si prendono le dovute precauzioni – io ad esempio dormo sempre nelle scuole, non vado in giro con oggetti di valore, mantengo un “profilo basso” con chiunque, etc… – sono luoghi visitabili in tutta tranquillità. Tuttavia esistono dei particolari momenti in cui, come mi è successo in ottobre quando c’è stata una sorta di rivoluzione e guerriglia urbana, conviene valutare l’opportunità di andarvi o meno: in quell’occasione ho preferito posticipare il mio viaggio a gennaio.

 

Riccardo Braglia

Riccardo Braglia in una scuola in Etiopia. Nasce così a Lugano nel 2011 la Fondazione Nuovo Fiore in Africa.

 

Sempre restando nell’ambito filantropico, annualmente Helsinn assegna delle borse di studio ai giovani che hanno ottenuto dei buoni voti, tenendo conto della situazione economica dei singoli. Avete avuto riscontro del proseguo accademico? Vi sono stati dei giovani che sono stati assunti presso di voi al termine degli studi?

L’esempio più eclatante della nostra esperienza da “formatori” è il nostro direttore di stabilimento, che ha vinto le nostre borse di studio 20 anni fa, ha frequentato l’Università nella Svizzera tedesca, quindi è rientrato in Ticino ed ha iniziato a lavorare da noi.  Ha fatto carriera fino a diventare responsabile di stabilimento per la parte produttiva. Come il suo caso ne abbiamo una decina che negli anni sono stati poi assunti in Helsinn. Questa scelta ha premiato loro e tanti altri giovani che hanno continuato a studiare, ma che senza un aiuto economico non avrebbero potuto seguire le loro passioni. Tutti gli anni assegniamo 10/11 borse di studio: esistono dei giovani veramente bravi, con dei curricula di tutto rispetto e con dei voti molto alti, ma con delle condizioni economiche limitate. Questi ragazzi vanno sostenuti negli studi.

 

Il vostro impegno è lodevole, ma sono poche le aziende come voi che si impegnano in tal senso…

Noi crediamo in questa scelta, quello che si vorrebbe fare con l’Associazione di categoria “Farmaindustria Ticino”, è di farsi promotori anche a livello svizzero nelle Università per far capire che esiste una realtà industriale che assume neolaureati: fare questo come Associazione offre naturalmente maggiori opportunità di lavoro, in quanto singolarmente possiamo assumere solo uno o due persone all’anno. Si potrebbero creare delle borse di studio come Associazione per sostenere i migliori studenti: sarebbe un buon modo per investire nei nostri giovani.

 

L’amore per l’arte è una passione dei suoi genitori che nel 2014 ha visto la nascita della “Fondazione Gabriele e Anna Braglia” volta a promuovere e divulgare l’arte, aprendola ad un pubblico sempre più vasto e diffuso. Anche Lei ha la stessa passione?

In origine la Fondazione è stata costituita per preservare nel tempo una collezione di opere d’arte, fatta negli anni dai miei genitori: si tratta di opere di diverso tipo, dal moderno al contemporaneo e la nostra volontà è stata anche quella di renderla disponibile alla popolazione ticinese che può visitarla, prendendosi una pausa di riflessione, tenendo comunque presente che noi non siamo un museo e le opere esposte sono accomunate solo dall’amore per l’arte del collezionista. Sono cresciuto in una famiglia in cui l’arte era ritenuta importante ed i nostri investimenti sono sempre stati orientati in tale direzione. Sin da bambino sono stato abituato a girare per gallerie d’arte, musei ed aste. Quindi l’ho portata nella mia vita lavorativa – abbiamo diverse opere esposte in azienda – ed a livello di famiglia mia moglie ha la mia stessa passione: il nostro hobby è quello di visitare gallerie e seguire diversi artisti. Con la passione che ci accomuna abbiamo sempre comprato le opere d’arte che ci piacevano, non per quelle che potevano avere un valore veniale maggiore o essere un investimento: qualche volta abbiamo acquistato delle opere che si sono rivelate degli investimenti, in altri casi sono rimasti oggetti di semplice arredamento…

 

Vogliamo ora addentrandoci in un’altra sua passione legata al mondo dello sport e specificamente al basket: dopo 12 anni nella Pallacanestro Lugano, qual è stata la sua esperienza? Perché ha lasciato e quale insegnamento ne ha tratto?

In realtà non è che io abbia abbandonato completamente il mondo del basket, nel senso che sono ancora sponsor della pallacanestro e continuo a seguirlo come spettatore appassionato del Lugano, una squadra che ha vinto quasi tutto in questi 12 anni. Il sostegno alla pallacanestro è nato per un amore storico per la “palla a spicchi”, avendo personalmente giocato nella squadra di Cantù. Ritengo che gli sport di squadra creino uno spirito importante, che forma nella vita per essere dei leaders o comunque per saper lavorare in team. Oggi ho fatto un piccolo passo indietro: faccio il Presidente Onorario e seguo la squadra “a distanza” attraverso i vari network e qualche volta, quando ho tempo, vado a vedere una partita… purtroppo quest’anno ne ho viste solo due! Rilevo con dispiacere che il nostro attuale sistema, orientato a voler incentivare solo ragazzi svizzeri, crea un problema in quanto non ce ne sono abbastanza per formare delle squadre e quando ne abbiamo uno valido non si riesce ad allestire una squadra competitiva. L’utilizzo di giocatori stranieri è continuamente limitato e di conseguenza la qualità in campo diminuisce a discapito dello spettacolo e dell’interesse che il movimento potrebbe creare. Nella mia esperienza ho sempre cercato di non fare il passo più lungo della gamba – senza strafare – in tutte le mie attività: lavorative, di casa e anche nello sport.  Quando abbiamo vinto il campionato europeo e più volte il campionato svizzero, abbiamo investito molto; poi in momenti più difficili abbiamo fatto scelte di risparmio, ma non abbiamo mai comprato “a debito” perché altrimenti poi si fallisce.

 

Molti negozi stanno abbandonando Lugano, gli affitti molto alti e la crisi non aiuta. Lei invece ha aperto una boutique in centro città: Aimoroom. Non le sembra un passo rischioso?

Sicuramente è un passo rischioso, anche se è mia moglie che si occupa di questa attività. In generale è un rischio operare nella distribuzione, con i negozi, in quanto il vero problema di cui non ci rendiamo conto è che siamo molto vicini ad un paese come l’Italia, concorrenziale sotto molteplici aspetti, con degli stipendi molto più bassi e con delle condizioni di vendita interessanti. Per un ticinese è estremamente facile e conveniente andare in Italia a fare acquisti, anche il sabato o la domenica e oltre l’orario standard. Certo, è una scelta sicuramente rischiosa, però non sempre si fanno le cose solo per il guadagno: l’idea è di avere nel centro di Lugano un negozio originale, un cosiddetto “concept store”, che non venda solo abbigliamento, mobili e arredamento, ma riesca a proporre anche prodotti particolari, che vanno dai vecchi vinili ai libri, ai profumi… Un negozio come quelli che esistono nelle grandi città di New York o Londra, per fare qualcosa di innovativo, non solo per fini di lucro, e di davvero nuovo; per creare un centro in cui, una volta al mese, facciamo un aperitivo e dove la gente può venire e scambiare delle idee e vedere delle cose nuove, come mostre d’arte, eventi, etc… un punto di ritrovo. Sotto questo aspetto credo di aver fatto qualcosa di diverso per Lugano. Mia moglie è stata l’ideatrice di questa attività e io l’ho sostenuta perché credo che sia qualcosa di innovativo, non per fini di lucro.
E’ chiaro che il commercio al dettaglio in Ticino è in crisi: gli affitti a Lugano sono inaccessibili, gli stipendi sono altissimi – si pensi che un commesso a soli 20 km di distanza costa la metà – in più ci penalizziamo da soli con leggi retrograde assurde, come la chiusura dei negozi la domenica, le chiusure settimanali alle 18:00, due sole domeniche di apertura prima di Natale, quando gli altri sono  aperti dall’inizio di novembre. A Milano i negozi sono aperti tutte le domeniche dell’anno e non chiudono alle 18:00! Le persone che lavorano, come potrebbero fare acquisti? Manca l’approccio commerciale: ci si lamenta della disoccupazione, ma poi non si fa niente per creare le condizioni per una ripresa. Io sarei per le aperture 24 ore su 24, inserendo personale a turni ed assumendomi il rischio economico di tutto ciò.

 

La recente elezione presidenziale americana di Donald Trump e la sua decisione di eliminare l’accordo transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP) può avere gravi ripercussioni per la sua azienda?

Io penso che Trump sia un uomo intelligente e saprà costruirsi un buon team intorno a sé. Bisognerà valutare il suo operato dopo i primi sei mesi; potrebbe anche essere un nuovo Reagan, che aveva tutti contro, ma che poi ha dimostrato di essere stato uno dei migliori Presidenti degli Stati Uniti degli ultimi 50 anni. Penso che Trump abbia tutte le carte in regola per fare un buon lavoro, soprattutto in un’ottica americana: cioè di fare gli interessi dell’America, che potrebbero anche essere diversi da quelli europei. Tuttavia se sarà in grado di far crescere il mercato e l’economia americana, il più grande ed importante del mondo, io non posso che esserne contento.

 

Non teme l’introduzione di eventuali dazi per le merci in importazione?

Un conto è quello che ha detto in campagna elettorale ed un altro è quello che poi farà realmente. La scelta di bloccare alcuni trattati, con la finalità di tutelare il mercato USA da un’invasione cinese e asiatica, non è diversa dalla scelta voluta dagli inglesi con la Brexit o come altri popoli stanno iniziando a meditare di fare. Si tratta solo dare una leggera e giusta frenata alla globalizzazione, tenendo conto che comunque tale fenomeno non si può fermare, ma si può gestire in maniera intelligente.

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