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L’intervista: Fabio Regazzi

L’intervista: Fabio Regazzi

L’INTERVISTA

FABIO REGAZZI

 

Intervista del nostro CEO Marco Tepoorten all’On. Fabio Regazzi, Consigliere nazionale e Presidente della Regazzi Holding SA.

 

Fabio Regazzi, imprenditore e politico ticinese, è un profondo conoscitore della realtà cantonale e nazionale. Insieme a lui vogliamo discutere di alcuni temi che riguardano le problematiche e le relative soluzioni proposte, che le aziende operanti sui valichi di frontiera si trovano ad affrontare oggi e nel prossimo futuro.

 

Sappiamo che si è fatto promotore della mozione volta ad instaurare il sistema di gestione del traffico denominato “Transito” anche presso la dogana di Chiasso-Brogeda, sistema che ha già permesso di ridurre in modo importante gli ingorghi al relativo ufficio doganale presso il valico autostradale di Basilea-Weil am Rhein e Sciaffusa, ove è in vigore già dal 2013. Quali sono gli ostacoli alla messa in pratica di un sistema che sembra offrire solo vantaggi?

Gli ostacoli sono principalmente di natura politica: originariamente il progetto era chiamato “Transito Chiasso” proprio perché incentrato sul valico di Brogeda, luogo dove implementare questo sistema di gestione del traffico pesante. Purtroppo le lungaggini burocratiche non hanno permesso lo sviluppo di questo servizio ed il Consiglio federale ha spostato il progetto con la Germania, creando di fatto il “corridoio” a Basel-Weil am Rhein e successivamente a Sciaffusa con risultati eccellenti, come riportato sulla rivista della Dogana svizzera. Con la mia mozione, che nel frattempo è stata approvata da entrambe le Camere, il Consiglio federale viene incaricato di implementare, in accordo con l’Italia, questo progetto anche al valico di Chiasso-Brogeda. Confido che grazie a questa decisione del Parlamento, il Governo affronti finalmente con determinazione il tema coinvolgendo ovviamente l’Italia, che deve pure partecipare agli investimenti sul proprio territorio, per trovare una soluzione entro tempi ragionevoli.

 

Sul sistema “Transito”, in un articolo apparso a dicembre 2017 sul GDP, Lei suggeriva alla Svizzera di “parlare con l’Italia, chiedendo inoltre la possibilità di beneficiare di fondi europei”. Faceva implicito riferimento ai vari progetti in atto da anni con l’Italia che, fino ad oggi, non hanno avuto riscontro o al fatto che per arrivare finalmente alla conclusione dei vari accordi (dogana Stabio-Gaggiolo, “Transito” Chiasso) si vorrebbe evitare di finanziare un’altra volta anche per l’Italia (ferrovia Arcisate-Stabio)?

Sappiamo che i fondi Interreg non sempre vengono investiti in modo efficace. Dal mio punto di vista il progetto “Transito” dovrebbe poter rientrare nella casistica per cui questi fondi possono essere stanziati. È indubbio che i vantaggi siano molteplici e per entrambi i paesi; purtroppo, come accennato precedentemente, a livello politico è difficile fare passare il messaggio. Inoltre, a livello europeo, vi sono numerosi progetti con finanziamenti notevoli sotto il profilo economico e non si comprende come nel caso concreto, dove il progetto è di per sé già pronto, non si riesca ad arrivare ad una soluzione che non preveda giocoforza un finanziamento da parte svizzera anche sull’infrastruttura italiana. Credo, alla fine, che sia solo una questione di volontà politica per poter accedere a questi fondi.

 

Il 1° gennaio 2018 è stato ufficialmente lanciato il programma DaziT, con cui la dogana svizzera si propone di entrare nell’era digitale, con benefici attesi per la popolazione, l’economia e lo Stato. Ad oggi permangono peraltro alcune perplessità riguardo all’operatività che si avrà presso le dogane di confine e questi dubbi si ripercuotono sulle scelte di investimento dei vari operatori del settore, che rimangono in “stand-by”. Con DaziT nel traffico merci sarà possibile effettuare le dichiarazioni doganali e consentire l’imposizione dei tributi indipendentemente da luoghi e orari, riducendo la necessità di disporre di uffici doganali fisici con orari prestabiliti di apertura. Non ritiene che sia una sorta di libera circolazione delle merci con l’UE?

La rivoluzione 4.0 è oramai entrata a far parte delle attività economiche e industriali. Da questo punto di vista la dogana non può sottrarsi a questo cambiamento epocale che non deve essere condannato a priori. Come sempre di fronte a nuove sfide vi sono dei rischi, ma anche delle opportunità. Ogni cambiamento porta di per sé delle situazioni di incertezza, ma saluto con favore che l’AFD cerchi di sfruttare questi cambiamenti che la digitalizzazione porta. Spesso critichiamo lo Stato di non essere al passo con i tempi; in questo caso si è giocato d’anticipo, per cui sarebbe per certi versi paradossale e quindi sbagliato, cercare di fermare il progresso. Per quanto riguarda la questione della “libera circolazione delle merci” non credo debba essere letta sotto quest’ottica, visto che, per quanto mi è dato di sapere, le regole doganali non vengono stravolte: DaziT deve infatti essere considerato uno strumento che sfrutta le nuove tecnologie, per migliorare il servizio. Altro discorso, invece, qualora dovessero mutare le regole del gioco, ma per quanto di mia conoscenza, questo non è ancora il caso. Sarà comunque interessante vedere l’evoluzione che ci sarà nei prossimi anni.

Un momento dell’intervista del nostro CEO Marco Tepoorten all’On. Fabio Regazzi, Consigliere nazionale e Presidente della Regazzi Holding SA

 

Con DaziT gli utenti potranno espletare le proprie dichiarazioni doganali e gestire i propri dati in maniera completamente autonoma ed indipendente dagli orari e dal luogo in cui si trovano. Secondo lei la dogana commerciale di frontiera è destinata a scomparire?

E’ chiaro che se guardo agli sviluppi geopolitici, si potrebbe pensare addirittura al contrario e cioè ad un aumento del protezionismo con conseguente crescita, fra le altre cose, dei controlli doganali rispetto ad oggi. Nel contesto storico che stiamo vivendo, ad iniziare dagli Stati Uniti, si sta delineando una tendenza “di ritorno”, dove nazioni – anche più piccole degli USA – vogliono salvaguardare il proprio mercato aumentando le barriere doganali. Da questo punto di vista il nostro Paese sembrerebbe andare in direzione opposta. Inoltre, proprio per questa tendenza di “protezionismo subdolo”, aumentando i dazi, creando quindi una barriera di fatto alle merci, i maggiori oneri amministrativi dovuti alle entrate supplementari, potrebbero essere abbattuti proprio con queste nuove tecnologie; sono solo ipotesi naturalmente ancora tutte da verificare.

 

I controlli radiometrici posti in essere dalle autorità italiane sui rottami e semilavorati metallici dalla Svizzera verso l’Italia hanno notevolmente allungato le tempistiche degli sdoganamenti al confine ed hanno fatto lievitare i costi per gli operatori. Ad oggi, inoltre, nulla è stato fatto per semplificare  le operazioni di rilevazione radiometrica riabilitando l’operatività della SUVA, in un’ottica di mutuo riconoscimento. Secondo Lei, questa è una situazione destinata a perdurare oppure si intravvede all’orizzonte qualche novità in positivo?

Novità purtroppo al momento non ce ne sono, anche se dal profilo politico vi sono stati diversi interventi per ovviare a questo problema che è emerso. Al di là di alcune discussioni ed interventi, non si sono registrati gli sviluppi auspicati. Va anche detto che quando vi sono più “attori” coinvolti, oltretutto che toccano due Paesi diversi, è difficile arrivare a soluzioni veloci. Il fatto che le questioni vengano gestite in due dipartimenti, come in questo caso, ed in ambito transfrontaliero (bilaterale) con la politica estera, contribuisce inevitabilmente a complicare ulteriormente la situazione, come ad esempio accennavamo prima relativamente al progetto “Transito”. Da questo punto di vista, non vi sono attualmente con l’Italia degli scenari che possano farci dire – come peraltro è il caso per altri temi fondamentali (pensiamo alle pendenze in ambito fiscale e finanziario) – che la soluzione sia vicina. Dove vi sono tematiche che dal loro punto di vista sono sensibili, come l’accesso dei nostri istituti bancari ai mercati finanziari, vi è un ripiegamento sulle proprie posizioni, per non dire un vero e proprio ostruzionismo. Da parte svizzera, anche con la SECO non si percepiscono segnali di grande cooperazione e spesso ho l’impressione che le tematiche da trattare non vengano comprese nella loro reale portata. Questo tipo di problemi richiedono a mio parere un approccio adeguato ed interventi più decisi.

 

Attualmente i rapporti bilaterali tra la Svizzera e l’Unione Europea sono tornati ad essere “difficili” (dossier accesso al mercato, lista grigia fiscale per citare due esempi) ed in questo contesto si inseriscono anche quelli con l’Italia che, per il nostro Paese, rappresenta il 2° partner commerciale. Ritiene, dal suo punto di vista, che con l’inserimento del Consigliere federale Ignazio Cassis – un’anima latina e italofona – possa essere data quella “spinta” tanto attesa affinché Roma possa ratificare gli accordi tanto attesi?

I rapporti tra vicini sono generalmente “difficili”; convivere in una zona di confine lo è di per sè e questo non vale solo con gli italiani, ma anche con i francesi, i tedeschi o gli austriaci, anche se è innegabile che con l’Italia probabilmente tutto è un po’ più complicato. E’ chiaro che avere finalmente un “italofono” al Dipartimento degli Affari Esteri è da leggere positivamente. L’approccio alle tematiche che un consigliere federale ticinese può avere con Roma, è sicuramente un vantaggio per poter trattare le questioni delicate parlando la stessa lingua; si pensi che prima le trattative sui vari dossier aperti avvenivano in inglese! L’On. Cassis potrà muoversi con maggiore facilità ed ha sicuramente una mentalità ed un approccio ai temi più affini a quello del nostro vicino; va detto però che gli interessi in gioco sono molto importanti per i due Paesi e sarebbe ingenuo illuderci che basterà la presenza di uno svizzero italiano per risolvere in poco tempo i numerosi problemi aperti.

 

Restando in ambito della politica estera, con la Brexit che, sulla carta, dovrà avvenire nel 2019, è possibile per la Svizzera attenuare le frizioni con l’UE sugli accordi bilaterali, dovendo l’Europa gestire una rinegoziazione generale che coinvolgerà il Regno Unito? In sostanza, avere sullo stesso piatto della bilancia la Svizzera e il Regno Unito potrebbe essere un vantaggio anche per noi; di solito “l’unione fa la forza”, concorda?

Vi sono due correnti di pensiero al riguardo: una che sostiene che la Brexit porterà un vantaggio alla Svizzera nelle trattative con l’UE, mentre l’altra che vede invece uno svantaggio per il nostro Paese. Personalmente ritengo sia difficile dare una lettura omogena in proposito. In realtà nessuno può ad oggi prevedere cosa succederà, anche se vedo male che l’UE faccia concessioni alla Svizzera prima di aver chiuso la negoziazione con il Regno Unito, e questo per evidenti motivi tattici. Quello che in ogni caso mi sento di dire è che, con o senza Brexit, i nostri rapporti con l’UE sono e resteranno complicati. Siamo un Paese con poco più di 8 milioni di abitanti che intrattiene importanti relazioni commerciali con molti Stati membri e inoltre siamo in una posizione strategica al centro del continente. Dal loro punto di vista tuttavia i bilaterali sono visti come un problema burocratico, senza dimenticare che la nostra democrazia diretta, dove il popolo può essere chiamato ad esprimersi su temi sensibili, è percepita come “fumo negli occhi” a Bruxelles.

 

Il 16/01 scorso, l’UDC ha lanciato ufficialmente l’iniziativa denominata “per una immigrazione moderata”; la raccolta delle firme ha già suscitato parecchi malumori nei vari partiti ed anche a Bruxelles la questione è tenuta sott’occhio con molta attenzione. Come valuta questa scelta e quali scenari potrebbero presentarsi all’orizzonte?

Non è un mistero che combatterò questa iniziativa che l’UDC ha infine deciso, dopo parecchi tentennamenti, di lanciare. Rispetto a quella votata dal popolo svizzero il 9 febbraio 2014, questa ha per lo meno il pregio di porre il quesito della disdetta dell’accordo sulla libera circolazione in modo più chiaro. Qualora l’iniziativa dovesse essere accolta, è tuttavia evidente che l’intero impianto degli accordi bilaterali potrebbe cadere a seguito della famosa clausola ghigliottina. Gli accordi bilaterali non portano ovviamente solo benefici, ma nel complesso ritengo che abbiano giovato all’economia svizzera e quindi al nostro benessere per cui sono dell’opinione che, pur con tutte le riserve che si possono avere, sacrificare i bilaterali sarebbe controproducente per il nostro Paese. Quello che però mi preoccupa è soprattutto la situazione di incertezza che queste iniziative generano: per un imprenditore non sapere con quali regole del gioco deve confrontarsi è lo scenario peggiore che possa capitare.

 

 

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